Quest'opera di Franco Costantini è stupefacente da diversi punti di vista. Chi mai si accingerebbe a scrivere un poema epico in endecasillabi ai nostri giorni con rima ABAB? E chi potrebbe essere tanto abile da ricreare l'atmosfera musicale di Ariosto e di Tasso ma al tempo stesso muovendosi nell'Universo della dimensione virtuale, del gioco di ruolo, della reminiscenza tolkieniana del Silmarillion e del Signore degli Anelli, combinando la più consolidata tradizione con l'iper-modernità del mezzo?
Costantini infatti, calato nel ruolo che si è assegnato, è egli stesso uno dei personaggi del racconto. Egli è l'umile pescatore Taimaku che tramanda l'epos, non dimenticando la tradizione virgiliana per cui il suo eroe Thàleron è un novello Enea che conduce la sua gente fuggiasca verso la fondazione di una nuova patria. Elfi e orchi, eroi e gregari si muovono sullo sfondo di monti, pianure, oceani e mari immaginari; e le armate, i cavalli, le armi sono pronti in ogni situazione a muoversi docilmente sullo scacchiere che l'autore ha per loro predisposto.
Ci si potrebbe chiedere perché lo abbia fatto, che senso possa avere una operazione così decisamente anomala; ma la risposta già esiste ed è perfettamente leggibile nei suoi versi: perché lo ha spinto l'ispirazione e lo ha incitato la sua stessa, incredibile abilità di verseggiatore. In lui rivive l'antica, spontanea abilità dei cantori orali, capaci di improvvisare migliaia di versi impeccabili semplicemente battendone il ritmo con il piede e capaci di attingere dal corpus tràdito la vicenda, e dall'uso la musicalità dei versi.
Bisogna lasciarsi prendere dall'onda, dal ritmo, dalla musica. È così che si legge un poema.
Valerio Massimo Manfredi